Tra i buoni propositi per il 2012, ho quello di raccontare la mia esperienza del té in Australia. Qualcosa ho già anticipato in qualche post, ma il grosso e il bello deve ancora venire! Comincio oggi, in questo finale di 2011, con un po’ di storia del té in Australia, così come viene raccontata in un preziosissimo libro, Household Lore, il vademecum della signora di Ballarat nella seconda metà dell’800, acquistato a Soverign Hill, il parco storico che ricostruisce la neonata cittadina di Ballarat, che presto sarebbe diventata capoluogo dei Goldfields, i campi d’oro, per l’abbondanza di miniere. Sfogliare questo volumetto, che raccoglie ricette, rimedi e consigli di bonton, permette di apprendere, non senza un filo di ironia e di divertimento, cosa ci si aspettava dalle signore dabbene dell’Australia dell’epoca della corsa all’oro, di quando ancora non esisteva uno stato australiano, di quando gli australiani più poveri scavavano in miniera ma gli aborigeni erano servi quando non del tutto schiavizzati. Di quando l’Australia era ancora da finire di esplorare, di quando i pionieri riempivano le pagine dei giornali. In tutto questo le mogli dei pionieri che facevano? Si annoiavano, come sempre, e bevevano il té.

L’Australia, essendo di cultura anglosassone ha acquisito, meglio ha portato dalla madrepatria Inghilterra, l’usanza del bere il té. A metà dell’800, quando le città erano più simili a paeselli da far west che non a città in senso proprio, e quando le distanze erano terribilmente enormi e insormontabili perché esisteva soltanto il carro trainato da cavalli, le signore dabbene non potevano rinunciare al té e organizzavano, tra signore della zona, veri e propri tea party cui se non venivi invitata voleva dire che non eri considerata degna né all’altezza di avere delle amiche di cotal lignaggio, mentre se, pur invitata, non ti presentavi, arrecavi una grossa offesa alla padrona di casa. Insomma, per amore o per forza, il Tea Party era un momento di aggregazione sociale irrinunciabile per le signore di un certo livello (quelle che possedevano un servizio da té degno di questo nome, che avevano una casa grande e ben arredata, accogliente e decorosa, che avevano la possibilità di farsi scarrozzare sul carro della proprietà per raggiungere la sede del Tea Party).
Addirittura in qualche circostanza l’annuncio del Tea Party, chiamato At Home, veniva pubblicato sul quotidiano locale – accanto alla scoperta di una qualche grossa pepita d’oro, magari. In questo modo l’organizzatrice si assicurava che nessun’altra nello stesso periodo ne organizzasse un altro e al tempo stesso faceva sì che quante più signore dabbene fossero informate dell’evento: non c’era peggior spregio di vedere una bassa o bassissima partecipazione al proprio At Home. L’evento era ovviamente al pomeriggio, per evocare il classico té delle 5 di tradizione inglese; le partecipanti arrivavano a casa della signora, porgevano il loro biglietto da visita, ovvero l’invito e le proprie credenziali.
La padrona di casa preparava il té in un’elegante teiera, quella del servizio buono, prendendo il té da un teacaddy, che sarà stato sicuramente pregiato, proprio come era quello delle Ladies inglesi in madrepatria (mi viene in mente il teacaddy in madreperla di ELisabeth Barrett Browning), quindi compiva tutti i passaggi dell’infusione e del servizio del té nelle tazze delle ospiti, le quali prendevano in mano la tazza senza togliere i guanti.

Mi immagino queste donnine nei loro ampi abiti di stoffe colorate che giocano a fare le signore, consapevoli in cuor proprio che era meglio se restavano in Inghilterra dove sì che avrebbero potuto fare le signore! Invece niente, solo terra terra terra, polvere, bestiame, aborigeni e il marito che le lascia sole per giorni, forse per settimane, dietro ai propri affari. In ogni caso i discorsi non potevano essere sconvenienti, per quanto per la maggior parte sicuramente si trattava di pettegolezzi d’élite, e l’At Home doveva durare almeno 20 minuti, dopodiché l’invitata che si alzava per andar via adducendo una qualche banale scusa non era guardata di buon occhio: snob da morire sì, stupide no!
In città, a Ballarat per esempio, nello stato del Victoria, non mancavano i locali pubblici dove poter sorseggiare una tazza di té: le bakeries più rinomate avevano infatti la sala da té, molto elegante, come ci si aspetta da un ambiente in cui svolgere una nobile occupazione come appunto il té delle 5. E a Soverign Hill, parco storico che ricostruisce la Ballarat del 1860, non manca la bakery-sala da té, rigorosamente ricostruita sulla base di incisioni d’epoca conservatesi e giunte sino a noi.

Leggere il librino da cui ho tratto queste brevi notizie consente di crearsi un’idea della vita quotidiana della signora australiana di fine ‘800. Con una freschezza e una vitalità incredibili, si scopre che le ricette fornite possono facilmente essere riproposte oggi, e che quelle ricette altro non sono che adattamenti dalla cucina inglese o irlandese. Dunque come per la cucina, anche il té risente dei bei ricordi di Madrepatria nella sua preparazione. A quest’epoca era ancora d’importazione, nessuno si era preso la briga di coltivarlo… ma questa è un’altra storia… 😉
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